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Prendo in prestito il titolo di un noto saggio di Jacques Monod per questo mio post, dopo aver letto questo articolo pubblicato sul sito del Corriere della Sera.

Per carità, articolo interessante per quanto riguarda le ricerche riportate, anche se in modo molto superficiale… peccato che tutto l’articolo parli di “risposta adattativa” lasciando intendere che gli animali e le piante “rispondano” ad una condizione pericolosa modificando le proprie caratteristiche. Questa è invece una semplificazione eccessiva, che può indurre il lettore in una interpretazione scorretta della teoria dell’evoluzione delle specie di Darwin: immagino che Dawkins innorridirebbe nel leggere l’articolo di Carola Traverso Saibante.

L’autrice ha perso, a mio parere, una buona occasione per chiarire come l’evoluzione non segua un “disegno intelligente”, e le conseguenze dell’incidente di Chernobyl ne sono una prova lampante. Infatti le radiazioni ionizzanti sono un potentissimo fattore mutageno, introducendo nelle linee germinali degli organismi viventi (quindi quelle che trasmettono il patrimonio genetico alla progenie) moltissime mutazioni in modo del tutto casuale. Ovviamente va detto che le mutazioni avvengono anche a carico delle cellule non germinali, ma in questo caso hanno effetti sul solo individuo, e non sulla specie.

E’ qui che poi lavora l’evoluzione: la maggior parte delle mutazioni indotte dalle radiazioni saranno selezionate negativamente, cioè l’individuo mutante morirà, o non nascerà nemmeno. Una quota estremamente piccola di individui potrebbe però portare una mutazione che ne renda migliore l’adattamento all’ambiente. Questi ultimi potranno allora sfruttare un vantaggio evolutivo e prendere il sopravvento all’interno della specie: noi vediamo la specie “adattarsi”, ma questo rappresenta è solo la punta dell’iceberg, il prodotto di milioni di mutazioni, delle quali una minima parte è compatibile con la sopravvivenza dell’individuo, e di queste una minima parte comporta un vantaggio evolutivo.

Quello che l’incidente di Chernobyl ha creato è il cosidetto “collo di bottiglia”, che ha portato al “declino di intere popolazioni d’uccelli, d’insetti e di ragni, alcune delle quali si sono localmente estinte“, ma che in natura è la principale forza motrice della comparsa di nuove specie.

L’articolista si chiede:

“Da cosa può dipendere la differenza nell’evoluzione adattativa tra una specie d’uccelli e l’altra? Con effetti solo deleteri su alcune, e mutamenti benefici da parte di altre?”

La risposta è tanto semplice quanto banale: dal caso.