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Nelle mie frequenti discussioni con coloro che difendono le posizioni contrarie alla sperimentazione sugli animali, oppure con gli appartenenti al movimento antivaccinista, prima o poi esce sempre l’argomento “effetto collaterale”. In queste occasioni mi rendo sempre conto di quanto sia difficile far ragionare qualcuno in termini di rapporto rischio/beneficio, parametro che non può non essere prioritario per chi ragiona di sanità in termini generali.

Il principio è estremamente semplice: qualunque sostanza estranea venga immessa nel nostro organismo, sia essa un farmaco, un vaccino, o anche più banalmente un alimento, comporta una certa probabilità di farci male. Ovviamente questa probabilità è in certi casi molto vicina a zero, senza mai tuttavia essere del tutto nulla: l’esempio classico è quello dell’acqua, che in alcuni casi può causare una intossicazione letale. Altro caso tipico è il consumo di funghi, che sono tendenzialmente epatotossici: se mangiate troppi porcini non sarà solo il vostro portafoglio a pagarne lo scotto, ma anche il vostro fegato.

Quando si parla di farmaci la probabilità di effetti collaterali, o più propriamente “eventi avversi”, è chiaramente molto maggiore che non per gli alimenti. Per questo l’iter di sviluppo di un farmaco prevede sempre accurati studi prima su animali e poi su volontari sani per valutarne, oltre che l’efficacia, soprattutto la sicurezza: un numero elevatissimo di molecole vengono abbandonate dall’industria farmaceutica a causa della loro tossicità. Ed anche una volta messo sul commercio il farmaco viene attentamente monitorato per tutta la sua “vita” (sorveglianza postmarketing) e sottoposto a ulteriori studi di sicurezza, soprattutto nel primo periodo (perciò i farmaci immessi da poco in commercio riportano il triangolo nero).

Una delle più frequenti discussioni “da bar”, o meglio “da sala d’attesa”, riguarda gli innumerevoli effetti avversi riportati nei foglietti illustrativi di ogni farmaco, dall’aspirina al più recente anticorpo monoclonale. Si deve sapere che questi elenchi sono lunghissimi non perchè ogni farmaco faccia male, ma per due motivi abbastanza banali: il primo è che durante uno studio clinico molti pazienti dichiarano effetti avversi che in realtà non sono dovuti al farmaco, ma vengono messi comunque, e i più diffusi sono nausea, cefalea, capogiri, ecc.; il secondo motivo è che in molti casi l’azienda farmaceutica inserisce eventi avversi del tutto improbabili per tutelarsi legalmente (avete presente quei manuali di certi elettrodomestici che si sentono in dovere che non dovete usarli per farci del sesso?). Va osservato peraltro che il nuovo sistema di farmacovigilanza permette a chiunque di dichiarare qualunque evento avverso direttamente sul sito dell’Aifa, e tutte queste segnalazioni vanno a aggiornare continuamente il foglietto illustrativo.

Poi frequenza e gravità degli eventi avversi vanno valutati anche sulla base del farmaco e della patologia per cui va usato: è chiaro che il rischio di incorrere in una pancitopenia in 1 caso su 10 è intollerabile per un antidepressivo, ma è ampiamente giustificato in un farmaco oncologico come il fluorouracile.

A questo punto scatta puntuale il “fai presto a parlare, ma se capitasse a te?”.

Quello che anche il più ignorante dei consumatori dovrebbe imparare a capire è che un responsabile della sanità pubblica non può ragionare sulla base del singolo paziente su 10 mila che potrà avere l’evento avverso grave, ma valutando la gravità dei danni che potrebbero avere i restanti 9999 pazienti nel momento in cui quel farmaco non fosse disponibile: in meno di un caso su 10 mila dosi di vaccino tetravalente PolioInfanrix si può verificare una reazione allergica o un edema angioneurotico, ma la protezione da polio, tetano, difterite e pertosse rende il rapporto rischio/beneficio ampiamente favorevole. Non si chiede ai genitori di quel singolo bambino su decine di migliaia che subisce le conseguenze di una possibile encefalite se quel vaccino è giusto mantenerlo in commercio, perchè è ovvio che il loro campione statistico si limita a un caso e la risposta sarebbe negativa. Si deve invece considerare la quantità di vantaggi che ha comportato la vaccinazione tetravalente in tutti gli altri bambini.

Piuttosto il problema è che, siccome la medicina non è una scienza esatta, ogni paziente fa storia a se, e l’evento avverso grave è in alcuni casi imprevedibile, la sanità pubblica dovrebbe prevedere un sistema di aiuti ai pazienti che incorrono in tali eventualità. A mio avviso andrebbe istituito un fondo apposito, finanziato da una parte dei fatturati delle aziende farmaceutiche, da cui ricavare sia gli stanziamenti per il sostegno delle vittime di eventi avversi gravi, sia quelli per avviare studi indipendenti di sicurezza dei farmaci stessi.